Il fisco controlla il tuo conto bancario

Redazione • 7 gennaio 2019
di Centro Studi CGN

Il fisco può controllare in qualsiasi momento il conto corrente bancario di qualunque cittadino.

Il denaro versato sul conto corrente bancario di un professionista (ma anche di un privato cittadino) può essere esaminato dal fisco, con lo scopo di accertare eventuali redditi non dichiarati. Ai sensi dell’articolo 32 del D.P.R. 600/1973, l’Agenzia delle Entrate, se nutre il dubbio che vi siano operazioni ritenute sospette, può richiedere alla banca: «notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto o operazione effettuata» dal contribuente oggetto di controllo.
In pratica, il fisco può controllare in qualsiasi momento il conto corrente bancario di qualunque cittadino.
E, secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione (la sentenza n. 6947 del 17 marzo 2017), la riconducibilità dei versamenti effettuati dai professionisti, e più in generale, dai lavoratori autonomi sui propri conti correnti ai compensi dagli stessi percepiti è assistita dalla presunzione legale a favore del fisco.
Cosa significa nello specifico? Secondo gli ermellini, la presunzione legale non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tipici delle presunzioni semplici ed è superabile soltanto dalla prova contraria fornita dal contribuente.
In altre parole il fisco può, per legge, presumere che versamenti e prelevamenti operati sui conti correnti bancari del contribuente siano imputati a ricavi conseguiti dallo stesso nell’esercizio della propria attività professionale, se il contribuente non riesce a dimostrare l’estraneità alla produzione del reddito (o di averne tenuto conto in fase di determina della base imponibile).
Sebbene è prassi ormai consolidata aprire conti correnti bancari da adibire esclusivamente all’attività professionale (per tenere separate le operazioni “commerciali” da quelle private); non è raro trovare professionisti che utilizzino ancora il conto corrente personale, anche cointestato con il coniuge, per versare gli assegni ricevuti per i pagamenti delle proprie prestazioni professionali o per pagare i modelli F24 delle tasse.
In questi casi, secondo la giurisprudenza, la suddetta presunzione legale e la conseguente inversione dell’onere della prova, si applicano non solo in caso di cointestazione del conto corrente bancario, ma anche nelle ipotesi di intestazione dei rapporti bancari a terzi che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente (salva ovviamente la prova contraria da parte dello stesso contribuente).
Se il reddito annuo del professionista oggetto di controllo non è tale da giustificare l’ammontare dei versamenti sul conto corrente, il fisco può presumere che si tratti di somme di denaro derivanti da attività svolte in nero, con la conseguente tassazione delle stesse, oltre all’applicazione di sanzioni e interessi.
Come difendersi allora nel caso di presunzione di evasione fiscale mossa dal fisco? Per vincere la presunzione di evasione fiscale occorre dimostrare la provenienza legittima delle somme presenti nel conto corrente. In primis , per ogni operazione effettuata tramite conto corrente, sarebbe opportuno compilare in maniera chiara la causale dell’operazione effettuata.
È consigliato poi, che le diverse causali delle operazioni relative agli incassi professionali contengano gli estremi (numero e data) della fattura/parcella alla quale si riferiscono, e ciò anche in caso di pagamenti frazionati o acconti su fatture.

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