L’indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia

Vincenzo Spagnuolo • 30 gennaio 2019
di Redazione

Uno degli aspetti maggiormente critici del contratto di agenzia, è quello della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto. Nello specifico, l’aspetto più dibattuto è il dualismo tra l’art. 1751 c.c. e la disciplina contenuta nel contratto di agenzia, che può derogare tale articolo.

Nel merito, la giurisprudenza afferma che il raffronto tra la disciplina legale e quella collettiva deve essere effettuato «secondo un esame dei dati ex post ». Il giudice deve, cioè, applicare sempre la normativa che assicura all’agente il miglior risultato possibile alla luce delle vicende del rapporto.
Più nel dettaglio, è da rilevare che il trattamento di cui agli accordi economici collettivi va considerato una sorta di «minimo garantito»: un trattamento da riconoscere all’agente laddove non spetti un’indennità superiore.
Questo orientamento è stato riaffermato con la sentenza 15375 del 21 giugno 2017; l’inderogabilità a svantaggio dell’agente opera infatti solo in riferimento al limite minimo. Perciò, «l’importo determinato dal giudice deve prevalere su quello, eventualmente inferiore, spettante in applicazione di altri criteri diversamente pattuiti».
Da notare, stando alla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione con sentenza del 15 ottobre 2018 n. 25740, come vadano esclusi dal calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto, le provvigioni percepite a compenso dell’attività di coordinamento di un gruppo di agenti. Questo succede poiché sono corrisposte per affari non direttamente e personalmente procurati dall’agente, ma da altri soggetti che a lui fanno capo.

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